DA ANNI si muove dentro il cono d’ombra dei misteri d’Italia come ricercatore e come consulente delle commissione Mitrokhin e sulla mafia. Il professor Salvatore Sechi, politologo e docente universitario, è convinto che la verità giudiziaria sulla strage di Ustica e della stazione di Bologna sia ancora da scriver;e soprattutto dopo i documenti riservati dei servizi segreti da Beirut che abbiamo pubblicato anche ieri.
Ustica e Bologna, stragi collegate?
«Sono convinto che sia l’abbattimento del Dc 9 Itavia su Ustica, sia la bomba alla stazione siano legate ad azioni di rappresaglia del Fronte popolare per la Liberazione della Palestina, alleato con i libici».
Su che elementi si basa la sua convinzione?
«I cablogrammi del capocentro del Sismi a Beirut, colonnello Stefano Giovannone, pubblicati anche dal Qn e che avvertono di possibili ritorsioni dei palestinesi per la violazione del Lodo Moro da parte dell’Italia, sono una pista concreta».
Gli 007 di Beirut avvertirono già prima del sequestro Moro?
«Un mese prima arrivò un cablogramma dal Libano che confermava l’accordo segreto. E Giovannone era molto vicino ad Aldo Moro che lo cita due volte nelle lettere dalla prigionia».
Qual era lo scenario del 1980?
«Tra la condanna di Abu Saleh, arrestato con i missili a Ortona, un fatto che indispettì i palestinesi, e la strage del 2 agosto risultano contatti intensi fra elementi del terrorismo arabo e libico che discutono dell’entità della possibile reazione verso l’Italia. E la tempistica conduce alle due stragi».
Chi era Abu Saleh e come si lega a Bologna?
«Era l’uomo vicino a George Habbash, leader del Fplp, di cui rappresentava l’ala sinistra. Abu Saleh ha vissuto a lungo a Bologna e la questura lo segnalò più volte per manifestazioni contro Israele».
Personaggio conosciuto.
«A Bologna manovrava un gruppo di giordani. In Italia si occupava del traffico di armi e seguiva le cellule armate in Europa. Da Beirut Giovannone premeva per lasciarlo in ombra in virtù del patto con i palestinesi. Tutto funzionò fino a che non fu arrestato in Abruzzo insieme agli autonomi. Così saltò il lodo Moro».
E dopo?
«Ho pubblicato documenti in cui i nostri servizi avvertivano di una possibile rappresaglia per la condanna di Abu Saleh».
La Libia era nostra nemica?
«Sosteneva i palestinesi. Ed era irritata con l’Italia che allora firmò un patto di collaborazione con Malta sottraendola all’egemonia libica. In quel periodo ci fu l’attentato alla stazione».
Lo scenario è sorretto solo dai cablo spediti da Giovannone?
«Non solo. Bisogna leggere anche i rapporti del colonnello Luciano Periti del Sismi incaricato di seguire il terrorismo palestinese e acquisiti nel processo Moro».
La Procura di Bologna però ha archiviato l’inchiesta bis.
«I magistrati dovrebbero entrare in possesso delle carte sui cui il governo deve a questo punto togliere il segreto di Stato. Avrebbero elementi nuovi su cui basarsi».
Citi un dato per lei significativo.
«Abu Saleh e Kram, il terrorista tedesco che si trovava a Bologna prima della strage alla stazione, erano alleati di Carlos. Il telefono di quest’ultimo era nell’agenda di Abu Saleh. Non è casuale».
Le segnalazioni di Giovannone furono sottovalutate?
«Probabile. L’ufficiale a un certo punto si trovò isolato. Era in rotta di collisione con l’ambasciatore italiano a Beirut. Cercò anche un contatto con Cossiga al quale era molto legato».
Altri ufficiali del Sismi sapevano delle tensioni con l’asse palestinesi-Carlos-Libia?
«Ne parlò diffusamente anche un altro ufficiale dei servizi, colonnello Silvio Di Napoli, nell’interrogatorio reso ad un pm di Venezia».
Cosa direbbe a Renzi?
«Dia retta ai senatori Giovanardi e Quagliariello che premono per rendere pubblici i documenti segreti. È una scelta di verità».

Beppe Boni