lIBANO, primi di giugno 1980. Dall’ambasciata italiana partì un messaggio «esplosivo» diretto ai nostri servizi segreti a Roma. La segnalazione di poche righe confermava lo stato di massima allerta che i nostri agenti attivi a Beirut, crocevia delle tensioni mediorientali di allora, avevano già più volte sottolineato con crescente preoccupazione. Il cablogramma più o meno recitava: è praticamente tutto deciso, potrebbe esserci un attentato a un aereo di linea oppure un attacco all’ambasciata italiana.

IL MESSAGGIO fa parte delle migliaia di carte classificate con «segreto» e «segretissimo» a cui è stato tolto il segreto di Stato. Il carteggio, consultato da parlamentari e dai membri della commissione d’inchiesta sul caso Moro, però non può essere divulgato. Occhio alle coincidenze: il 27 giugno esplose in volo su Ustica il Dc9 Itavia e il 2 agosto saltò in aria la stazione di Bologna. L’ampio carteggio del Sismi, che alcuni parlamentari chiedono sia reso di libera consultazione, sorregge, ma non prova, l’ipotesi che dietro le due stragi ci sia stato l’asse Gheddafi-palestinesi in uno scenario che spiegheremo.
Fra i tanti cablo che partivano con l’ok del capocentro di Beirut, il colonnello dei carabinieri, Stefano Giovannone fedelissimo di Aldo Moro, ce ne sarebbe un altro significativo, giunto al Sismi di Roma il 27 giugno 1980: spiegava che i referenti locali dei nostri 007 da qualche giorno erano spariti nel nulla. Un segnale? Nel messaggio cifrato si sottolineava inoltre l’alto rischio per l’Italia suggerendo, pare, l’ipotesi di evacuare l’ambasciata. Quella stessa sera esplose il volo il Dc9 Itavia con 81 persone a bordo. In Medio Oriente da mesi gli allarmi del Sismi si susseguivano vorticosamente. Prima ancora del 27 giugno altri avvertimenti dei nostri 007 ipotizzavano una possibile ritorsione violenta contro l’Italia di matrice palestinese con la possibilità di molte vittime. I documenti secretati sono una valanga. Ci sarebbe anche il nome, pare, di un referente palestinese in Italia con domicilio a Bologna quale anello di collegamento con gli autonomi. L’ampio e incerto scacchiere internazionale dentro al quale si inquadrano queste vicende comprende sia il lodo Moro che il braccio di ferro fra Italia e Libia per il protettorato militare ed economico su Malta col petrolio di mezzo. Il lodo Moro è un accordo fra italiani e palestinesi che metteva il nostro Paese al riparo da attentati in cambio della libera circolazione di armi. Patto trasgredito quando a Ortona insieme a Daniele Pifano venne arrestato il palestinese Abu Saleh, legato al Fplp di George Habbash, mentre trasportavano alcuni lanciarazzi. E fra le carte desecretate c’è un cablo inviato proprio il 17 febbraio del 1978 da Giovannone a Roma in cui si lancia l’allarme «per una imminente azione terroristica programmata da terroristi europei». Nella seconda parte del messaggio il colonnello spiega che «George Habbash leader Flp ha assicurato che la sua organizzazione opererà in attuazione a confermati impegni mirati a escludere nostro paese da atti terroristici». Un mese dopo venne rapito Aldo Moro. Su questa base c’è chi, come l’ex parlamentare An-Fli Enzo Raisi, sostiene da molto tempo anche la possibilità della pista palestinese (alternativa alle condanne dei neofascisti e archiviata dalla Procura) per la strage della stazione di Bologna: il gruppo di Carlos lo sciacallo avrebbe messo la bomba come ritorsione all’arresto di Abu Saleh.

POI, SEMPRE sullo sfondo, delle stragi, c’è il nodo di Malta. Sia l’ex sottosegretario agli esteri Giuseppe Zamberletti che l’ex giudice (Ustica) Rosario Priore citano il carteggio del Sismi 1978-80 come elemento che sorregge l’ipotesi della mano di Gheddafi (che a sua volta manovrò i palestinesi) dietro Ustica e Bologna. In una intervista alla Stampa infatti Zamberletti spiega che i libici esercitavano fino al 1980 un protettorato su Malta con consiglieri militari sul posto. L’Italia intanto aveva avviato accordi per le piattaforme petrolifere sfilando di fatto Malta, che lo chiedeva, dall’egemonia libico- sovietica. Quindi, secondo una ricostruzione non avallata dalla verità giudiziaria, Gheddafi potrebbe avere telecomandato gruppi palestinesi, compreso Carlos: Ustica fu un avvertimento poi la strage alla stazione la vendetta definitiva. Un gruppo di senatori, intanto, preme da tempo e ha presentato una interpellanza affinché vengano rese pubbliche in modo totale le carte che giacciono sepolte da 36 anni a Forte Braschi e che, nonostante qualche omissis, potrebbero fornire una nuova lettura su Ustica e Bologna. Certo non un punto di arrivo, ma di possibile partenza per una nuova lettura dei misteri italiani.

Beppe Boni