Ricordo la nebbia, che lentamente si diradava davanti alla prua della barca. Ricordo gli occhi sbarrati del pescatore che si era offerto di portarci al largo sul suo gozzo.  Ricordo il mare piatto come l’olio. E poi ricordo quell’immagine pazzesca, improvvisa,   l’immagine di quella nave annerita dal fumo che galleggiava nel mare davanti al porto di Livorno. Un gigantesco spettro di ferro che andava alla deriva con il suo carico di morte e misteri.

Erano passate poche ore dalla tragedia del Moby Prince, e mi colpì che intorno alla nave almeno in quel momento non ci fosse nessuno.  Nessuno. Nè un elicottero, nè una motovedetta, nulla.  Pensavamo che i passeggeri fossero stati già recuperati, salvati. Ma non era così: erano ancora tutti dentro. Morti. Era il 10 aprile 1991, oggi, 23 anni fa. La data di un altro mistero d’Italia che si aggiungeva ad altri , troppi misteri di questo Paese.

Quella sera il traghetto per Olbia entrò in collisione con la petroliera Agip Abruzzo, e 140 persone (65 componenti dell’equipaggio e 75 passeggeri) non poterono  sfuggire alle fiamme infernali che si sprigionarono da quello scontro tuttora inspiegabile. Inchieste su inchieste, come su Ustica, commissioni, perizie, richieste di immagini satellitari. Ma non c’è ancora una risposta alla domanda  di chi ha perso un padre, un figlio, un fratello, un marito: perche’? E forse non ci sarà mai.