Ricordo che la gente applaudiva per strada e gridava ogni volta che passava un’autopompa del Fire Dept, i pompieri di New York. Ricordo occhi lucidi, mani che si stringevano, un coro di “thank you guys” sussurrati dal profondo dei cuori. Era il 2002, il primo anniversario del “Nine Eleven”, come in America si chiama l’11 settembre. La ferita nell’anima di New York sanguinava ancora. Incontrai Chris Ganci, il figlio dell’eroe simbolo delle Torri,  il comandante dei vigili del fuoco di New York, Peter Ganci, morto per salvare i suoi uomini intrappolati nelle Twin Towers. Ecco cosa mi disse.

—————————————

 

New York, settembre 2002  – «Ho visto con i miei occhi il momento della morte di mio padre. Ero inchiodato a Brooklyn,  a Manhattan non era possibile neppure avvicinarsi. Sapevo che lui era lì con suoi uomini,  sapevo che stava correndo dei rischi. Ma pensavo che non fosse in prima linea. Gesu’,  mi dicevo,  lui è il comandante,  sarà al riparo. Quando ho visto la Torre Sud venire giù  ho pensato a mio fratello: anche lui fa il vigile del fuoco. Ma in quel momento era su un incendio in autostrada. Sotto la torre,  invece,  c’era mio padre. Aveva salvato pompieri e poliziotti facendoli allontanare dalla torre quando si è reso conto che stava per crollare. Poi è tornato indietro, dai suoi uomini. Forse sentiva che ormai non avevano più scampo. Ma non li avrebbe mai lasciati».

La morte dell’eroe degli eroi di Ground Zero,  il comandante del Fire Department Peter Ganci,  raccontata dal figlio più giovane; Christopher. Ha visto tutto, ha capito tutto nell’istante stesso in cui accadeva,  quel maledetto martedì di settembre. E ora lui, lui che dopo anni di tira e molla con papà aveva deciso di non arruolarsi sentendo il richiamo degli affari piu forte di quello dell’ascia e dell’idrante,  è diventato la mascotte dei vigili del fuoco di New York. Dan Nigro, che di Peter Ganci era il vice e il migliore amico — e fu nominato nuovo comandante sulle macerie — lo considera un figlio.

Chi era tuo padre, Christopher? «Era una persona che amava la sua vita,  il suo lavoro,  i suoi uomini. Viveva ogni minuto intensamente,  comunicava a tutti questa forza, lavorava per sé ma anche per i suoi uomini. E loro lo sentivano. In fondo,  è per questo che è morto. So che avrebbe voluto essere esattamente dov’era, con gli altri 342 che sono caduti. Lui era così. Lo sento sempre qui vicino a me, a mia madre Kathleen,  ai miei fratelli Peter III e Dan».

Passavate molto tempo insieme? «Tutto quello che riuscivamo a ritagliarci. Lui lavorava 80 ore la settimana,  non ne restavano molte per la famiglia. Ma ogni singolo momento era speciale,  ed è questo ciò che conta. Riusciva sempre a sorridere, a rendere divertente anche la situazione più complicata. Era una persona che viveva in un modo straordinariamente intenso, come sanno fare in pochi».

Che cosa ti hanno raccontato del comandante Peter Ganci? Che cosa sai oggi di quell’11 settembre? «So che lui era in servizio, come sempre. Che era il più alto in grado dei rappresentanti della sicurezza della città di New York e che dirigeva le operazioni tra gli edifici colpiti. So che a un certo punto si rese conto che la prima torre era in pericolo e avrebbe potuto cedere da un momento all’altro. So che fece allontanare tutti verso la torre nord ma che invece di restare con loro tornò indietro verso la torre sud, per cercare di tirare fuori i vigili che erano rimasti. A volte penso che non ho mai visto un coraggio più grande di questo ».

Quando hai saputo che era morto, come? «Quando papà era in servizio sembrava il presidente,  tutti sapevano esattamente dov’era e cosa stava facendo. Quando la torre lo ha sepolto insieme a tutti gli altri radio e cellulari sono impazziti. Lo abbiamo saputo subito e tutti continuavano a ripeterci: il comandante ci ha salvato,  siamo vivi solo per merito suo».

Christopher da mesi praticamente vivi con il Fire Department,  anche se fai un lavoro completamente diverso. Perché? «Sì; facevo il rappresentante di medicinali, anche se ora sono tornato a studiare per laurearmi in economia. Ma ho sentito di dovermi mettere a disposizione del corpo. Ho avviato un’organizzazione per raccogliere fondi per i familiari dei caduti,  ho scritto un libro per bambini sui pompieri dove ho anche ricordato la figura del pompiere Peter Ganci. Sento il bisogno di farlo continuamente. E’ una perdita incolmabile. Questo anniversario è importante per l’America ma per me è soltanto un altro giorno senza mio padre».

Peter Ganci verrà ricordato per il suo coraggio,  sarà sempre un eroe di questa immane tragedia; ed è giusto che sia cosi. Ma a te, Christopher Ganci, per che cosa ti piacerebbe fosse ricordato? «Per la sua umiltà e per la sua semplicità. Era un “chief” a cinque stelle,  il più alto grado mai raggiunto da un vigile del fuoco degli Stati Uniti. E se gli chiedevi come ci fosse riuscito ti sorrideva e rispondeva: “A far cosa? Io faccio sempre il vigile del fuoco”. Potevi metterlo in una stanza con il presidente degli Stati Uniti oppure con un tassista; lui si comportava esattamente nello stesso modo. Molti di quelli che salgono in alto sono arrivisti,  arroganti. Ma a lui i suoi pompieri volevano bene perché non comandava con le parole ma con l’esempio. Dicono che mio padre sia morto da eroe. Ma per me lo è sempre stato».

Pubblicato su Quotidiano Nazionale, Il Resto del Carlino, La Nazione, Il Giorno, settembre 2002