malvaldi-navaleVorremo sempre bene ai quattro vecchiacci del BarLume. A maggior ragione ora che il Rimediotti, dopo l’operazione alla gola, parla poco e ciò che dice sembra il rantolo di una specie di androide, pur piegato alle spigolature di un vecchio pisano. Vogliamo loro bene, e sempre gliene vorremo, anche se l’inchiesta intessuta da Marco Malvaldi ne ‘La battaglia navale‘ (2016, Sellerio) questa volta sfugge presto di mano, troppo addentro alla testa di Massimo il barrista, della sua compagna, la poliziotta Alice Martelli,  e dei loro non detti, senza che al lettore sia lasciato intravedere nulla fino al compimento dei fatti.

Partiamo dai fatti, appunto. C’è il corpo di una giovanissima badante ucraina, trovata senza vita sulla spiaggia. Qualcosa su quel cadavere stona, e Alice lo confessa da subito, pur non dilungandosi in dettagli: chi legge non lo scoprirà fino alle ultime pagine, posto di fronte al fatto compiuto e senza aver fatto le sue illazioni insieme con Ampelio e soci.

Ci sono poi delle scritte sui muri, in arabo, unico appiglio alla curiosità, che vorrebbero dire molto e però non diventano mai davvero fondamentali nell’inchiesta. E c’è un supporto tecnologico (la registrazione di alcune conversazioni), ottenuto in non si sa che modo e senza sapere cosa possa aver disvelato. Troppo poco per farsi un’idea, poco per appassionarsi davvero all’inchiesta, troppo facile dire che siano state cruciali.

Poi per fortuna ci sono le dinamiche del bar e del ristorante, perennemente avvitate sulla diatriba giovani/vecchi. Ma forse è troppo, visto che la cosa ormai va avanti più per prassi che per altro, così ben lontana dal produrre gli scambi epici de ‘La briscola in cinque‘, l’inizio della saga, che ha reso Malvaldi così celebre e amato. Pur vero che di sviluppi ce ne sono: i personaggi invecchiano, le situazioni cambiano, il rude cuoco Tavolone, a suo modo è diventato una star della tv, la bella Tiziana è maturata, e questo è solo un bene.

Ma dov’è la tensione? Il rischio reale – ora che le indagini in casa Viviani hanno un piglio ufficiale (il barrista si è fidanzato con la vicecommissaria) – è che il lavorìo sul morto ammazzato di turno a Pineta si muova su un livello più burocratico e meno ruspante, capace di attirare proprio per l’incongruenza provinciale di certi metodi investigativi. Ed ecco l’incubo: le indagini del futuro si svolgeranno sempre nelle stanze del Commissariato, lasciando il bar un muto teatro degli ‘spiegoni’ e ai quattro ottuagenari il solo ruolo di muti galoppini al servizio della legge…

No, no, no, davvero non va bene. Sia pur detto, tutto ciò, con l’affetto che si deve ai libri scritti bene. Ma il buon Viviani non può farci questo: se vorrà rimanere nei nostri cuori (e voi non ditegli che, è chiaro, il suo posto difficilmente verrà mai messo in dubbio), dovrà tornare a sporcarsi le mani. Le indagini dovrà condurle lui, che diamine, e magari risolverle grazie al chiacchiericcio involontario dei vecchi, in uno di quei suoi momenti di autismo matematico che ce lo hanno fatto amare. E quei vecchietti al bar, dio, possibile che non sappiano fare altro che assoldare un vecchio amico del Pci che sappia origliare l’ucraino? Animo ragazzi! Altrimenti la pensione cosa la prendete a fare?