camilleri-altro-capo-filoDall’altro capo del filo c’è sempre Andrea Camilleri. Anche se non ci vede più: novello Omero, detta i suoi libri alla storica editor Valentina Alferj. Ci vuole stile anche in questo: nel ringraziarla (e tributarle un contributo autorale e non solo manovale) il Maestro non dice ‘sono diventato cieco’, ma ‘a causa della mia sopraggiunta cecità’. E spiega che da qui ai prossimi libri, se come spera ce ne saranno, la questione rimarrà tale. Ci vuole stile anche a parlare di futuro a 91 anni, ovvio, con il centesimo libro appena dato alle stampe. Noi tutti ci auguriamo che sia così per lungo tempo, perché coviamo nel cuore – egoisti che siamo – il dramma di cosa leggeremo tra mezzo secolo.

Magari ancora Camilleri, ‘ché cento libri ci vuole tanto a scriverli ma per fortuna anche a leggerli. Sarà divertente poi anche rileggerli, ipotesi così poco peregrina visto che in tv le fiction del Commissario Montalbano, caso più unico che raro, a ogni replica superano i record di auditel della messa in onda precedente. Tanto vale per i libri: opere di consumo eppure immortali per la loro semplicità universale.

Quello che però di un Montalbano inedito come ‘L’altro capo del filo’ (2016, Sellerio) ci mancherà e di brutto, è questa straordinaria capacità di attualizzarsi ogni volta, senza perdere i suoi canoni o sembrare posticcio. Per dire: il Montalbano di quest’ultimo capitolo – tra i più belli di sempre, vien da dirlo – ormai ha sessant’anni e si guarda bene dal buttarsi in mare d’inverno. Si accontenta di una passeggiata sulla spiaggia, piuttosto. E si è assuefatto al cellulare, lui che lo odiava. Di attuale, in più, ci sono i migranti. Non è la prima volta nei suoi libri, ci mancherebbe. Ma sono cresciuti di peso, come è cresciuta nella realtà la tensione quotidiana in Sicilia, in Calabria e in Grecia.

Così per le prime cento pagine non c’è un morto ammazzato, non c’è un caso, né una lettera anonima. Ci sono gli sbarchi. Copiosi, drammatici, ripetitivi. Notte dopo notte. Con il commissariato di Vigata allo spasimo, Mimì, Fazio e Montalbano cotti di sonno e perfino il povero Catarella, costretto a vedere scene che il suo cuore di fanciullo non potrebbe sopportare. Cento pagine non sono poche.  L’avesse fatto qualcun altro, questo è il punto, il libriccino blu della Sellerio sarebbe finito scaraventato contro il muro già a pagina 50. Quando mai si è visto un giallo dove per le prime cento pagine non succede un piffero? Non è ammesso a nessuno, tranne che a Camilleri, anzi, a Montalbano. E non certo per rispetto o timore.

Prima di tutto, ma è scontato, perché quella storia nella storia è una nuova e lucida testimonianza dei tempi che il papà del commissario di Vigata, come il suo maestro Leonardo Sciascia, da sempre ci dispensa con semplicità universale. E poi soprattutto perché quelle cento pagine sono il giusto tributo e atteso a un desiderio voyeuristico nei confronti di un personaggio che conosciamo ormai meglio di un parente. Anche qui c’è il genio Camilleri, che di Montalbano ci ha fatto amare allo spasimo la quotidianità, i whisky in verandina, la cena di Adelina quadiata in forno, perfino le docce calde e i cambi di mutande. E non poteva, perciò, a rischio di sembrare irreale, nasconderci i giorni attuali di un commissario di polizia in Sicilia, alle prese con gli sbarchi continui, con la penuria di personale, con gli occhi chiusi della gente e quelli sempre aperti di chi al dolore altrui, per genetica, non può non rispondere.

Il morto arriva, tranquilli. L’episodio vero arriva a pagina 101, ed è tra i migliori. C’è una sarta bellissima che viene assassinata. C’è un assassino misterioso, poi lo strappo in una tela, il gatto Rinaldo che ha visto tutto ma non sa dirlo se non a Montalbano, e un passato sepolto e anonimo che Montalbano riuscirà a fare emergere, disperatamente, a colpi di genio. E’ ancora in grado di fare le indagini, sì, nonostante le vicchiaglie. Ma anche quello è un gioco del suo giovane autore: Camilleri, dall’alto dei suoi 91 anni, sfotte il sessantenne commissario. Fa che i lettori arrivino prima di lui alle risposte, mentre lui se ne sta lì, goffo, a cercare di afferrare un’idea che gli firriava nella testa ma che non riesce più a visualizzare. La provocazione, ovviamente, funziona: il commissario sa il fatto suo, ma come sempre hai suoi tempi. La risoluzione del caso è un capolavoro assoluto, epico, da annali. Così bello che, arrivati a questo punto, ovviamente, non vi diremo. Buona lettura.