Venerdì 19 Aprile 2024

Biagi, Ruffilli, D'Antona: la scia di sangue riformista

Roma, 14 novembre 2014 - Le minacce al bolognese Filippo Taddei, responsabile economico del Pd nonché uno degli autori del Jobs Act, richiamano alla mente capitoli di un passato di violenza che ha colpito economisti e giuslavoristi che hanno donato la loro sapienza giuridica alla riorganizzazione del mercato del lavoro. Dal giurista Pietro Ichino al giuslavorista Giuliano Cazzola, le storie analoghe sono decine.

Storie di minacce che in alcuni casi sono finite nel sangue: Marco Biagi come Roberto Ruffilli e Massimo D'Antona. Tre riformisti assassinati per le loro idee. Uomini dello Stato, o servitori dello Stato, massacrati per questo loro mettersi al servizio della democrazia costituzionale. 

Prima Ruffilli, ucciso nell'88 a Forlì per essere stato, a fianco di Ciriaco De Mita e nella Dc, ''uomo-chiave del progetto demitiano, teso ad aprire una nuova fase costituente, perno centrale del progetto di riformulazione delle regole del gioco, all'interno della complessiva rifunzionalizzazione dei poteri e degli apparati dello Stato'', come si legge nella rivendicazione del delitto. D'Antona e Biagi, entrambi uccisi dalle nuove Br, hanno qualcosa di più in comune: sono stati consulenti del ministero del Lavoro, oggi detto del Welfare, hanno lavorato insieme col ministro Bassolino. Il secondo segue le sorti del primo, dopo l'assassinio del '99, e dopo essere stato consulente di Treu e Letta, centrosinistra, lo diventa del governo Berlusconi. ''Non vorrei che foste costretti ad intitolarmi una sala, come a Massimo D'Antona...'', disse in una tragica e profetica battuta al ministro Maroni e al suo vice, Sacconi, prima di essere ''giustiziato'' sulla soglia di casa per il suo Libro bianco sulla riforma del lavoro e per il suo impegno nelle modifiche all'art.18 dello Statuto dei lavoratori, allora come oggi al centro del dibattito politico, oggi come allora del feroce scontro politico e sociale.