Berlusconi con Marchini, sapore di Polo. Fini e Casini sognano il bis

La svolta del Cav esalta gli ex alleati: torna il sogno del ’94

Berlusconi con gli alleati di allora, Fini e Casini. Era il 1996 (Ansa)

Berlusconi con gli alleati di allora, Fini e Casini. Era il 1996 (Ansa)

Roma, 29 aprile 2016 - POCHE chiacchiere: si sono emozionati. Pier Ferdinando Casini: «Una scelta epocale». Gianfranco Fini: «Berlusconi e Bertolaso vanno ringraziati per aver reso possibile a Roma un’alternativa possibile alla sinistra che non sia populista né demagogica». A modo (molto) suo s’è emozionato anche Matteo Salvini: «Silvio sente il richiamo della foresta». Ecco, forse poteva dirlo in modo un poco più elegante, meno rabbioso, ma Salvini potrebbe aver suggerito un elemento di analisi a quanto potrebbe accadere ora. Un elemento di psico-storia. Di psico politica. Di anni perduti irrimediabilmente. Di come passa il tempo. Di comizi e slogan antichi.

POI, è chiaro. Più prosaicamente potrebbe essere l’occasione per levare quell’enorme strato di polvere al progetto (ricordate? era il 1994) del «partito liberale di massa», ove confluivano (meglio: sarebbero dovute confluire) le tradizioni cattoliche moderate (Casini è tra i fondatori del Ccd, Centro cristiano democratico), post-neofascista (Fini è tra i fondatori di Alleanza nazionale, fine del Msi), le tradizioni di quello che un cronista definì «L’uomo chiunque», una realtà fatta di professionisti che lavorava a un’Italia, piaccia o meno, liberista con meno Stato, molto meno, e più mercato. Sono passati decenni, il progetto non si sa se è ancora nella mente del Cavaliere, eppure qualcosa si sta muovendo.

CERTO, la fantasiosa furia di quel triennio terribile 1992-94 non esiste più. Quando, nel 1994, il Cavaliere «scese in campo», Casini e Fini erano gioiosi: «Rafforzato il polo moderato», disse Pier Ferdinando; «Una nuova coesione nel progetto che si oppone a Occhetto», fu il giubilo di Gianfranco. E poi il Polo delle libertà. Gli sberleffi della sinistra occhettiana e dalemiana. Per Occhetto il discorso di Berlusconi del gennaio ’94 era «risibile, inaccettabile». Mentre D’Alema parlava di «discorso kitsch». Talmente kitsch che il Cav spianò la sinistra alle elezioni alleandosi con Casini in tutt’Italia, con An al Sud e la Lega al Nord. Già la Lega. Sembravano i tre moschettieri (Bossi come d’Artagnan è un po’ troppo, ma lo scriviamo per comodità) il Cav, Pier Ferdinando e Gianfranco. Sulle prime fu un successo. L’Italia si scoprì bipolare. I partiti perdevano la loro vocazione originaria di straordinaria cinghia di trasmissione tra cittadini e Stato per trasformarsi in più o meno presentabili comitati elettorali. Un solo dato, per capirsi: Forza Italia, già nel febbraio 1994, aveva circa ottomila club sparsi in tutt’Italia - penava solo con i ‘rossi’ toscani, emiliani, romagnoli e marchigiani. Erano gli anni dello sdoganamento dei neofascisti. Erano gli anni in cui Casini prendeva pochi voti rivendicando però (e giustamente) di aver portato in dote una tradizione culturale prim’ancora che politica. Poi, la fuga della Lega, il primo fallimento, la netta sensazione che il centrosinistra non fosse affatto tornato imbattibile. Il che successe dopo il governo Prodi. Anche lì, i simboli contano. I tre (Silvio, Pierferdi e Gianfranco) fecero un comizione con folla abbastanza oceanica in piazza San Giovanni, la piazza della sinistra, la piazza che aveva visto mezz’Italia, davanti al presidente socialista Sandro Pertini, in lacrime per i funerali di Enrico Berlinguer, leader del Pci nel 1984.

LA FINE del primo Prodi e la riconquista del 2001. Le prime avvisaglia - grazie anche al fallimento totale del progetto di Pd di Veltroni e D’Alema - e le rotture celebri del Cavaliere. Con Casini nel biennio 2007-2008 e con Fini che, in quel drammatico 21 aprile 2010, alla direzione, si alzò e puntò il famoso dito urlando a un livido Berlusconi: «Che fai, mi cacci?».

IN POLITICA, si sa, mai dire mai. Eppure riavvolgere il nastro non è facile. E, più che altro, tocca capire se in effetti i protagonisti di una stagione durata vent’anni il nastro vogliono riavvolgerlo davvero. Intanto, c’è Alfio Marchini da portare alle elezioni capitoline.

E chissà se riascolteremo la canzone dei Dik Dik: «Come passa il tempo».

Strofa principale: «Ci credevamo eterni ci credevamo eroi/ Ma il tempo se ne frega e passa su di noi».