Mercoledì 24 Aprile 2024

Lo chef Niederkofler: "Viaggio e cucino cercando la natura"

"Il piatto più buono, quello dell'infanzia"

Norbert Niederkofler (Ansa)

Norbert Niederkofler (Ansa)

Roma, 16 novembre 2017 - "Portare la natura nel piatto". Si fa presto a dirlo e lo dicono in tanti. Ma se un cuoco si mette seriamente in testa un'idea del genere, deve conoscerla e amarla davvero tanto, la natura. Da vent'anni Norbert Niederkofler è la mente e l'anima del St. Hubertus, il ristorante dell'hotel Rosa Alpina di San Cassiano, la tavola d'eccellenza più a nord d'Italia. Quando parla delle luci e dei rumori di un acquazzone notturno, dei 25 tipi di carote che alterna nell'arco dell'anno, del profumo di verbena o del guizzo di un salmerino di torrente, si comincia a capire perché la sua cucina d'alta quota sia considerata la migliore delle Dolomiti. È una cucina essenziale, fresca e diretta, ironica e fantasiosa, che parte dal sacrale rispetto della terra in cui nasce. Mai come in questo caso la semplicità è il traguardo di un percorso niente affatto semplice.

Norbert, gli ingredienti sono più importanti del cuoco? "Molto più importanti. Più vado avanti nel lavoro sulle materie prime, più me ne convinco. Il cuoco mette solo la sua esperienza, deve volare attorno a un ingrediente rispettandone la semplicità e la freschezza".

Quali sono i suoi ingredienti decisivi? "Tutti quelli di stagione. Mi procuro la frutta e la verdura, senza intermediari, da un giovane coltivatore che ne produce 400 tipi diversi. La mente del cuoco deve seguire la natura, le consistenze, gli aromi, i colori. Non occorre altro".

Come nasce un piatto? "In due modi. Primo: usare tutto il prodotto, sfruttarlo al cento per cento, senza scarti. Secondo: copiare la natura, interpretarla nel piatto. Un nostro dessert di frutti di bosco, ad esempio, ha i colori e le sfumature di un tramonto dolomitico. Nella versione invernale i colori cambiano: bianchi, grigi. In generale, secondo me, occorre variare poco gli ingredienti e molto le tecniche, utilizzandole tutte: il sottovuoto, i vari tipi di forni, la stufa a legna".

Quando parla di cucina responsabile e lotta agli sprechi lei ricorda molto Bottura. "Sette o otto anni fa ho cominciato a togliere tutto ciò che non serve. Non ho nulla contro il foie gras o il pesce di mare, ma non li uso più. Non è la mia via. Non possiamo continuare a sfruttare il mondo come fanno certe multinazionali. Col Refettorio ambrosiano Massimo ha iniziato un grande lavoro, sta facendo molto e merita gli importanti riconoscimenti che ha ottenuto. Dobbiamo tornare alle realtà piccole, un ettaro o tre ettari, e usare tutto dei nostri prodotti. Non è facile, c'è più lavoro e programmazione. Quel che mi servirà d'estate lo decido in inverno: a febbraio si semina, ma non sai mai se la stagione consentirà il raccolto che aspetti. Sarebbe più semplice prendere il telefono e ordinare patate peruviane o aragoste del Maine".

Le sue ultime creazioni? "Trippa con sanguinaccio e pelle di latte. Gnocchi di rapa rossa".

Che cos'è l'acqua di ghiacciaio? "Un nostro aperitivo. Acqua di sorgente e menta. È un gioco, un'ondata gelida in bocca".

La sua è una cucina di confine? Italiana, austriaca, o che cosa? "È una cucina nostra. Questa terra è stata austro-ungarica fino al 1918. Lo si vede ancora nei dolci, nel pane. Poi sono arrivate l'influenza della cucina italiana e mediterranea, la leggerezza, la modernità. Questa combinazione è bellissima".

L'ultima volta che la montagna l'ha stupita? "Accade continuamente. Ieri notte si è scatenato un temporale stupendo. I fulmini, gli odori. Lo guardavo con un bicchiere di vino in mano e pensavo che non andrò mai a vivere altrove. Qui c'è silenzio, pace e un'altissima qualità di vita".

Eppure lei ha viaggiato molto. Le esperienze più utili? "Tutte. In Nepal, sette o otto anni fa, ho camminato per un mese e mezzo, senza cellulare, solo con tenda e sacco a pelo. Serve. Dagli indiani d'America ho imparato il rispetto per la natura. Ho sempre davanti agli occhi i colori di certi mercati in Guatemala, Nicaragua, Honduras. In California ho girato le cantine di Napa Valley, tra viti e vini tutti uguali, senza carattere. Ma anche le delusioni servono".

Lei sostiene che ormai tutti copiano tutti. Lei copia? "Se qualcuno mi dice che ha inventato un piatto nuovo, è una balla. In uno dei miei 1500 libri di cucina, o su internet, quel piatto lo trovo. La questione è un'altra: un cuoco deve trovare una strada sua. E, cosa molto importante, mettere in primo piano la digeribilità dei piatti".

Lei lavora molto con i giovani: il suo vice, il pasticcere, gli agricoltori-fornitori. Il chilometro zero è anche un modo per farli crescere? "Sì, ma certe erbe e lo zafferano me li producono in Val Venosta, a 200 chilometri da qui. È una cucina di montagna, non a chilometro zero".

È vero che l'ultimo Natale che ha trascorso in famiglia risale a più di vent'anni fa? "La mia è un'attività impegnativa. Cerco di ritagliarmi due o tre ore il pomeriggio, prima di tornare in cucina. Sono contento di essere diventato padre a 49 anni: prima c'era solo il ristorante, ora la cosa più importante è la famiglia. Ti dà la serenità e la sicurezza che servono anche per lavorare bene".

Ai suoi tavoli attori e sportivi famosi, tanti inglesi e tanti americani compresa la signora Zuckerberg. Il cliente che l'ha colpita di più? "Tutti, anche il contadino che risparmia per venire a cena qui, col vestito buono. Mi piace guardare dentro le persone. Leggo molte biografie: Bill Gates, tanti sportivi. L'ultima è quella di Lance Armstrong".

Il piatto più buono della sua vita? "Quelli dell'infanzia. Ne ricordo uno fatto con patate, latte, burro fresco e formaggio. Mangiavamo tutti insieme, dallo stesso tegame. Oggi ci sono ristoranti in cui alzano il sopracciglio se vedono che scambi un piatto col vicino per assaggiarne uno in più. Qualche volta ti fanno perfino arrivare un biglietto di rimprovero. Lo trovo assurdo".

Se non avesse fatto il cuoco? "Architetto. Ma in famiglia c'è già mia sorella, basta lei. In fondo la cucina è anche architettura, design, semplicità: il problema non è mai aggiungere, ma togliere. E la semplicità richiede perfezione"