Giovedì 18 Aprile 2024

Combattere il tumore al cervello con la salmonella

Un team americano sta sperimentando una nuova tecnica per curare il glioblastoma, che prevede l'impiego di una forma geneticamente modificata del bacillo della salmonella

I bacilli della salmonella in una ricostruzione 3D (Foto: Sebastian Kaulitzki / Alamy)

I bacilli della salmonella in una ricostruzione 3D (Foto: Sebastian Kaulitzki / Alamy)

I bacilli della salmonella sono comunemente responsabili di patologie del tratto gastrointestinale, ma un gruppo di ricercatori della Duke University (Stati Uniti) sta cercando di utilizzarli per combattere il glioblastoma, il più aggressivo e comune tra i tumori del sistema nervoso centrale. Con risultati incoraggianti, sebbene al momento solo nei topi. IL MECCANISMO  L'idea del team americano prevede di ingegnerizzare il DNA dei batteri in modo da indirizzarli verso la neoplasia, dove sono in grado di innescare un meccanismo che distrugge le cellule maligne. Nel loro esperimento i ricercatori hanno impiegato un ceppo di Salmonella typhimurium, che attraverso opportune modifiche è stato "detossificato" e reso affamato di purina, una molecola organica che abbonda nei pressi del glioblastoma. Una volta attirato verso il "banchetto", scatta la seconda fase del piano: grazie a un ulteriore ritocco del suo codice genetico, il bacillo rilascia delle sostanze che innescano l'autodistruzione delle cellule tumorali. I test condotti sui topi hanno evidenziato un aumento significativo delle aspettative di vita: il 20% dei roditori è sopravvissuto cento giorni in più rispetto al gruppo di controllo non trattato. Un guadagno di 10 anni in termini umani, sottolineano gli scienziati. UN PUNTO DI PARTENZA "Dal momento che il glioblastoma è molto aggressivo e difficile da trattare, ogni variazione nel tasso di sopravvivenza rappresenta un grosso risultato", ha dichiarato il coautore dello studio Johnathan Lyon. Negli ultimi anni il trattamento combinato di radioterapia e chemioterapia ha innalzato le probabilità di sopravvivenza a 24 mesi dalla diagnosi, tuttavia la speranza di vita rimane ancora molto bassa, tanto che in letteratura si parla di "lunga sopravvivenza" dopo i tre anni. Ecco perché quello emerso dallo studio viene definito un dato di partenza "molto incoraggiante". PROSPETTIVE PER IL FUTURO Il successo ottenuto sui topi non rappresenta una garanzia per gli esseri umani, ma con tutte le cautele del caso i ricercatori sono fiduciosi che in futuro la tecnica possa trasformarsi in una terapia efficace contro questo tipo di tumore. Bisogna però procedere un passo alla volta: il prossimo obiettivo è di aumentare la percentuale di sopravvivenza, attraverso uno studio rigoroso del dosaggio. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Molecular Therapy Oncolytics.