Martedì 23 Aprile 2024

Battisti, alla fine giustizia è fatta

Cesare Battisti lascia il carcere di Papuda, nella periferia di Brasilia (Ansa)

Cesare Battisti lascia il carcere di Papuda, nella periferia di Brasilia (Ansa)

Ci sono voluti più di quattro anni, ma alla fine giustizia è fatta: il tribunale civile brasiliano ha deciso la “deportazione” - si dice così espulsione in portoghese – di Cesare Battisti perché il permesso di soggiorno concessogli dopo che Lula aveva firmato il no all'estradizione in Italia dell'ex terrorista dei Proletari armati per il comunismo non è valido: non lo si poteva concedere a un condannato per reati gravi nel suo paese di origine. E Battisti, in Italia, deve scontare il carcere a vita per il coinvolgimento in quattro omicidi.

Il 31 dicembre 2010, ultimo giorno della presidenza Lula, la decisione di negare l'estradizione in Italia, che il Supremo tribunale federale aveva decretato su richiesta delle nostre autorità, fu una decisione esclusivamente politica. Lula non volle sconfessare il suo ministro della giustizia, Tarso Genro (ideatore del forum sociale di Porto Alegre), che aveva concesso a Battisti, dopo il suo arresto, lo status di rifugiato politico. La battaglia legale, che in un primo tempo aveva dato ragione all'Italia e poi aveva rimesso a Lula la decisione finale con una maggioranza semplice dei giudici supremi, era corsa proprio sul filo di una rivalità fra magistratura e politica che si era espressa nel modo più brutale. Anche perché Dilma Rousseff, che sarebbe succeduta il giorno dopo la firma a Lula, aveva più volte dichiarato che sulla questione Battisti aveva una posizione più dura che non il suo predecessore. Anche per questo, il leader e fondatore del Partido dos Trabalhadores aveva infine deciso di tenersi l'ex terrorista.

Battisti, che dall'Italia era fuggito in Francia e quindi – svanita la 'dottrina Mitterrand' della intoccabilità dei rifugiati politici – in Messico, era entrato in Brasile in pratica clandestinamente nel marzo 2007. Arrestato e trasferito nel carcere federale di Papuda a Brasilia, si era aperta la querelle della estradizione. Un lungo processo e quindi la decisione del presidente, al quale era seguito un altro processo con una lieve condanna per il possesso di documenti falsi. L'ex terrorista di Cisterna di Latina, che ha compiuto sessant'anni a dicembre, durante la sua detenzione ha scritto un romanzo che segue quelli pubblicati in Francia: “Ai piedi del muro”; ma non si è trattato di un successo editoriale, nonostante Battisti, supportato dalla centrale sindacale di sinistra, abbia avuto occasione di presentarlo e promuovere per tutto il Paese. Ottenuto il permesso di soggiorno, si è mosso fra Rio de Janeiro e San Paolo, ha tentato di sfilare a un carnevale carioca e di salire in cattedra, na in realtà non ha mai coagulato attorno a sé un favore costante e definitivo.

La decisione della giudice Adverci Rates Mendes de Abreu – che sarà comunque appellata – può soddisfare anche Dilma: l'espulsione non comporta la consegna all'Italia, ma l'uscita del Paese, poi dovremmo fare la nostra parte per ottenerlo. La giudice ha decisamente dichiarato che la sua non è “una decisione che offende il presidente Lula”, ma si basa solo sulla legge. Lula si basò solo sulla politica, ora – per una questione minore – si cerca di rimettere le cose a posto. D'altronde anche Al capone cadde sotto i colpi della giustizia per evasione fiscale e non per omicidio. A Battisti sta succedendo la stessa cosa. E la sua vita tornerà, probabilmente, a essere una fuga dalle carceri italiane.