Ballottaggi, travaso di voti Centrodestra-M5S. "Due elettori su tre contro Renzi"

Noto (IPR Marketing): Raggi e Appendino? Conta più il marchio M5S

Da sinistra Virginia Raggi e Chiara Appendino (Ansa)

Da sinistra Virginia Raggi e Chiara Appendino (Ansa)

Roma, 21 giugno 2016 - Provate a dire a un grillino di allearsi con un forzista o un leghista: vi insulterà. Ma basta analizzare i flussi elettorali tra il primo e il secondo turno delle Comunali per rendersi conto che quest’‘asse’ tra stellati e centrodestra c’è eccome. Antonio Noto, direttore di IPR Marketing, conferma: «Se in Parlamento un’alleanza del genere sarebbe una missione impossibile, a livello di elettorato c’è un collante anti-Renzi che unisce 5 Stelle e centrodestra».

Due esempi: Roma e Torino.

«Al ballottaggio c’è stato un travaso di voti eclatante. Nella Capitale gli elettori leghisti e azzurri si sono spostati in massa verso Virginia Raggi e lo stesso si può dire a Torino con Chiara Appendino».

A Milano e Bologna, invece?

«Come tendenza generale gli elettori stellati preferiscono scegliere il candidato di centrodestra rispetto a quello di centrosinistra. Ma i flussi elettorali mostrano che il travaso è più evidente dal centrodestra ai grillini che non viceversa».

Ciò potrebbe avere un riflesso sul referendum di ottobre?

«Eccome. Renzi, visti i risultati delle amministrative, qualche problema potrebbe averlo».

Il fronte del No potrebbe vincere?

«Diciamo che un conto è avere un’opposizione, un altro averne una divisa in due parti. Unendo centrodestra e Movimento 5 Stelle il fronte anti-premier potrebbe arrivare al 50, 60 o anche al 66 per cento».

Il premier, quindi, deve preparare le valigie?

«Un attimo. Il Pd, secondo gli ultimi sondaggi sulle intenzioni di voto, si attesta attorno al 30-32 per cento, cioè un terzo degli elettori. Due su tre, invece, sono anti-Renzi. Ma questi ultimi sono più disuniti rispetto al fronte del Sì. Morale: si giocherà molto anche sul tipo di campagna per il referendum che i contendenti metteranno in campo».

Anche nel ballottaggio con l’Italicum il Pd se sfidasse il Movimento 5 Stelle rischierebbe grosso.

«Quando si parla di grandi città il dato locale può essere un anticipo di ciò che accadrà a livello nazionale. La sconfitta a Roma – che è la capitale d’Italia – e Torino – che è l’ex capitale d’Italia – a livello simbolico è pesante per i dem».

Facciamo una simulazione nazionale.

«Il Pd, secondo gli ultimi sondaggi, è al 30%, il Movimento 5 Stelle al 27%; il centrodestra (Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia) al 24-27%. Qual è il vantaggio degli stellati? La capacità, appunto, di aggregare i voti degli altri partiti. Perciò è verosimile pensare che, se accade come a Roma o Torino, l’opposizione al Pd possa arrivare al 60%».

Come fa il M5S ad aggregare consensi trasversali?

«La sua forza è il marchio. E, infatti, anche senza il suo leader, Beppe Grillo, riesce ad attrarre voti. È un po’ com’erano il Pci e la Dc: cambiavano i leader, ma il marchio restava forte».

Il marchio Pd non ‘tira’ più?

«Non come i 5 Stelle perché si sta legando troppo al leader e al suo andamento. E la fiducia in Renzi è calata dal 48 al 33 per cento».

Quindi la scelta di due candidate forti come la Raggi e l’Appendino non c’entra con i recenti successi?

«Chi vota M5S non lo sceglie per chissà quale progetto politico, ma per ciò che rappresenta: la possibilità di resettare il sistema».

Qual è l’identikit dell’elettore M5S?

«Non ha più un target particolare: attrae giovani, studenti, ma anche, penso a Torino, pensionati e ceto proletario. Ormai è un partito popolare».

Anche qui ormai ha sostituito il Pd.

«Ormai i cosiddetti poveri votano la destra estrema; ai democratici resta il ceto medio».