Giovedì 18 Aprile 2024

Andrea Doria, 60 anni fa il naufragio. "Storia d'onore e lacrime"

L’ufficiale Guido Badano ricorda il comandante Calamai: "Gentiluomo perseguitato"

L'Andrea Doria

L'Andrea Doria

Roma, 25 luglio 2016 - Sessanta anni fa, il 25 luglio 1956, l’ultimo, drammatico viaggio del transatlantico italiano Andrea Doria. Stasera Rai Storia celebra l’anniversario col documentario “Andrea Doria, una tragedia italiana” di Giuseppe Giannotti, in onda alle 22,30, che ripercorre la vicenda con testimonianze e immagini di repertorio. Tra gli intervistati: Guido Badano, secondo ufficiale dell’Andrea Doria, Emilio Bertini, commissario di bordo, e Vincenzo Della Torre, aiuto cuoco. Mentre è uscito da poche settimane il libro “L’ultima scialuppa”, la testimonianza del terzo ufficiale, Eugenio Giannini. 

Comandante Badano, quella notte ebbe paura? "Certo che ebbi paura, tutte le persone coscienti in un caso del genere hanno paura. Cambiano i comportamenti. C’è chi la paura se la tiene, chi si blocca e c’è chi riesce a fare cose straordinarie, come successe sull’Andrea Doria, una tragedia con decine di morti ma anche il più grande salvataggio da un naufragio nella storia della navigazione".

Sessant’anni fa, alle 11 di sera del 25 luglio 1956, nei pressi dell’isola di Nantucket al largo dello stato del Massachussetts, il transatlantico Stockholm, diretto verso il Nord Europa, entrò in collisione con l’Andrea Doria, orgoglio della marineria italiana, ormai vicino al porto di New York con 1706 persone a bordo fra equipaggio e passeggeri. Il transatlantico italiano si piegò su un fianco; affonderà undici ore più tardi. Nell’impatto persero la vita 46 persone dell’Andrea Doria, 5 della nave svedese. Salvi tutti gli altri. La collisione fu causata da un errore di valutazione di chi comandava in quel momento lo Stockholm, un ufficiale poco esperto, che percepì male le distanze e le posizioni delle due navi, compiendo così una manovra fatale. Ma per lunghi anni la dinamica dell’incidente è stata oggetto di polemiche fra versioni contrastanti, costate all’incolpevole comandante dell’Andrea Doria, Piero Calamai, classe 1897, sedici anni di amarezze, fino alla sua scomparsa nel 1972. Guido Badano aveva 29 anni ed era il secondo ufficiale di bordo. È uno degli ultimi testimoni diretti dell’incidente, visto dalla plancia di comando.

Comandante, dov’era al momento dell’impatto? "Quella sera avevo smontato alle otto. Ero nella mia cabina, avevo mangiato, fatto la doccia e scritto due righe a casa. Poi mi ero messo a dormire. A un certo punto sentii quel colpo tremendo. Pensai che fossimo finiti contro gli scogli. Mi vestiii e salii nella sala di comando".

Qual era il suo compito in quel momento? "Dovevo occuparmi delle lance poste sul lato sinistro della nave. Ma non era possibile calarle in mare. La nave si era inclinata di 19 gradi. Mi resi conto subito che sarebbe affondata".

Che successe a quel punto? "Calamai non perse la calma, nemmeno di fronte al commissario governativo di bordo che gli chiese insistentemente di dare l’ordine di abbandonare la nave. Lui non lo fece: metà delle lance erano inutilizzabili, ne restavano troppo poche. Sarebbe stato il caos".

La salvezza sarebbe poi arrivata grazie alla nave francese Ile de France. "L’Ile de France arrivò nel giro di poche ore, illuminata a giorno: alla sua vista fummo tutti più tranquilli. Riuscì anche ad avvicinarsi moltissimo a noi, permettendo alle lance di fare la spola. L’Andrea Doria era una grande nave, molto stabile. Morirono solo le persone colpite direttamente dall’impatto".

Oggi conosciamo la verità sull’affondamento? "Sono stati scritti 31 libri su questa storia. E si sono dette tante menzogne. C’era un’inchiesta aperta e noi avevamo l’ordine di non parlare. Ma ora c’è il manuale dell’Accademia navale di King’s Point, negli Stati Uniti: a pagina 87 è scritto che l’Andrea Doria affondò per un errore dello Stockholm. Punto".

Di chi fu il merito del salvataggio? "Dei tanti che fecero il loro dovere mantenendo la calma. I loro meriti non sono stati mai davvero riconosciuti, salvo il cameriere che rimase per ore vicino a una passeggera intrappolata fra le lamiere. Si chiamava Giovanni Rovelli e fu premiato negli Stati Uniti".

Ricorda altre persone? "Furono tante. Il commissario Bertini, che mise in salvo il libro di navigazione; l’elettricista Brin, un triestino, che continuò a lavorare nei locali surriscaldati; il cappellano, Sebastiano Natta, che restò fino all’ultimo e diede l’ostia a chi voleva comunicarsi. Diede un grande esempio. Ma ce ne sono tanti altri".

Che ricordo ha del comandante Calamai? "Un gentiluomo, un grande comandante. A bordo, a evacuazione in corso mi disse: comunque vada a finire, dica alla mia famiglia a Genova che ho fatto tutto quello che dovevo fare. Io gli risposi: comandante, ce la faremo, potrà diglierlo personalmente".

È vero che Calamai non voleva abbandondare la nave? "Voleva restare fino all’ultimo, ma non per fare l’eroe e morire con la nave che affondava. Questa è una delle sciocchezze che sono state dette sull’Andrea Doria. Voleva restare ancora perché una nave abbandonata diventa proprietà di chi ne prende possesso e in quel momento c’erano tante navi lì vicino. C’era stato anni prima il precedente della nave Toscana, quando fu abbandonata i norvegesi salirono a bordo e se la presero, perché poi non colò a picco. Calamai pensava che l’Andrea Doria sarebbe rimasta adagiata su un fianco senza affondare, come molti altri; io invece sapevo che sarebbe finita in fondo al mare. Comunque alla fine lui salì con noi sul rimorchiatore che ci portò via".

Che cosa ha rappresentato l’Andrea Doria? "Era la nave più bella del mondo, ce la invidiavano tutti. Era il simbolo di un’Italia che rinasceva dopo la guerra. Era un’altra epoca".