Venerdì 19 Aprile 2024

Il Grand Tour della Agnello Hornby. "L'Italia è immobile, non spera più"

Il viaggio della scrittrice anglo-sicula tra sprechi e negligenza

Simonetta Agnello Hornby (Lapresse)

Simonetta Agnello Hornby (Lapresse)

SIMONETTA Agnello Hornby è amata da milioni di lettori nel mondo. Nata in Sicilia nel novembre 1945, si è sposata nel 1967 con un inglese che ha seguito in Africa per due anni; dal 1970 vive e lavora a Londra, dova ha iniziato la sua brillante carriera come avvocato, a capo di un’importante studio specializzato in problemi legati alle minoranze e all’immigrazione: «Dopo 8 anni da giudice part time sono diventata scrittrice a tempo pieno, e i riconoscimenti non sono mancati», sorride la scrittrice italiana naturalizzata britannica. Ma nel suo cuore – e nei suoi libri come La Mennulara del 2002 e Via XX Settembre del 2013 – Simonetta Agnello Hornby continua a cantare l’amore per la sua terra. La intervistiamo mentre è in viaggio per Palermo, in questo periodo a dir poco rovente anche sul fronte dei trasporti.

Felice di essere in Italia nonostante il caos?

"Sempre. A parte il periodo in Africa, torno a casa tre o quattro volte l’anno: il legame con il mio Paese non è mai stato reciso".

Molto orgoglio nelle sue parole: come vive un’italiana a Londra?

"Una siciliana, vorrà dire. Vive bene, a testa alta nonostante i periodi difficilissimi, politicamente parlando, che hanno sparso il sangue di nostri connazionali, vedi l’omicidio di Giovanni Falcone e le stragi di mafia".

Com’è l’immagine che le rimanda il nostro Paese?

"Sono un’emigrante come tante siciliane, anche se ho sposato un inglese: ho due figli, lavoro come avvocato, dopo 20 anni di matrimonio mi sono separata, e scrivo libri che, in qualche modo, mi conducono alle mie radici. Famiglia, memoria, legami. Comunque, amore. Poi c’è l’aspetto pratico: trasporti, musei chiusi, immondizia che si accumula. In una parola: degrado".

Degrado a Palermo?

"In tutta l’Italia! C’è qualcosa che non va nel nostro sistema, e ho un esempio che rispecchia perfettamente la situazione, la cartina di tornasole dell’Italia degli sprechi e della negligenza".

Sarebbe?

"Ho un figlio disabile: George, che a 30 anni si è ammalato di sclerosi multipla primaria progressiva, purtroppo è la peggiore. Con lui ho girato per Raitre un programma che andrà in onda in autunno, nel quale raccontiamo il nostro viaggio da Londra alla Sicilia, attraverso le città italiane e molti incontri. Quello che è successo nella grande Metro di Napoli mi ha lasciata sotto choc".

Ovvero?

"Abbiamo chiamato i responsabili, che hanno assicurato come la metropolitana fosse ‘a misura di disabile’: una volta arrivati, abbiamo vissuto un incubo; il bagno ad hoc era chiuso (hanno detto che era rotto), per far salire mio figlio è dovuto scendere il guidatore e caricare George (come qualsiasi altro portatore di handicap), su un vagone che non ha lo spazio, né il pulsante per disabili. Cose tristi. Ecco il problema dell’Italia, agire senza un pensiero che preceda l’azione. La gente lo percepisce".

E come lo vive?

"Con malessere. Questo lungo viaggio in Italia dopo 48 anni, fra disoccupazione e sprechi, mi ha fatto venire una grande tristezza, lasciandomi poche speranze. Da cinque o sei anni vedo gente che non spera. Ho cercato di importare un sistema contro la violenza domestica, ho creato un’organizzazione, ho scritto un libro: ma finora non è successo niente, tutto immobile".

Di chi sono le responsabilità?

"Nostre. Gli italiani non si sentono italiani, lo si vede già dal linguaggio: dai ministri al governo alla gente comune si dice ‘in questo Paese’, anche al telegiornale. Una frase insopportabile, non è mai ‘nel nostro Paese’. È un concetto alieno all’italiano".

La via d’uscita?

"Un governo forte non è la strada giusta: occorre accettare la realtà, iniziare a dire siamo e non sono".