25 aprile 1945, l'Italia torna libera. La Resistenza tra verità e miti

Dalle polemiche politiche al giudizio degli storici settant'anni dopo

Una delle foto storiche esposte  nella mostra  ''La liberazione di Roma (Ansa)

Una delle foto storiche esposte nella mostra ''La liberazione di Roma (Ansa)

Gabriele Moroni

FU LOTTA di popolo? Lotta unitaria? Con quale peso militare? Mentre l’Italia festeggia oggi i 70 anni dalla Liberazione, gli storici continuano a riflettere sulla Resistenza, sul suo valore fondante, politico e culturale, per la Repubblica - «un patrimonio nazionale di valori che andrebbe condiviso da tutti, senza contrapposizioni politiche o ideologiche» dice il professor Emilio Gentile - , ma anche sui miti che dal 1945 ad oggi ne hanno deformato la realtà a seconda delle convenienze politiche. Si sono stemperati i toni più accesi, è svanita anche una certa iconografia.

«Il contributo della Resistenza - dice Francesco Perfetti, ordinario di storia contemporanea alla Luiss di Roma - fu certamente importante. Anche se alla fine fu sopravvalutato. Sotto il profilo militare, l’elemento decisivo fu il contributo degli Alleati. Questo è indiscutibile. C’è un altro elemento da sottolineare: l’immagine portata avanti per anni, soprattutto a opera del Partito Comunista, fu quella della Resistenza come movimento unitario di massa a guida del Pci. Di massa? Già De Felice fece notare che gran parte degli italiani scelse di non schierarsi, di restare in una zona grigia, stanchi della guerra. L’immagine di una Resistenza unitaria a guida comunista era funzionale a un progetto egemone del Pci, ma non sta né in cielo né in terra dal punto di vista storico». «Nella Resistenza - prosegue Perfetti - entrarono anche cattolici, socialisti, azionisti, monarchici. Per molto tempo è stato sottovalutato anche il contributo dei militari».

NON UN MOVIMENTO di massa, ma fu la più grande mobilitazione volontaria della storia italiana. È la valutazione di Giovanni De Luna, docente di storia contemporanea all’università di Torino: «Erano di massa le piazze gremite ad ascoltare i discorsi di Mussolini. Ma nella primavera del 1944 i partigiani arrivarono a 150mila. Militarmente, quella era una guerra, lo scontro fra gli eserciti più potenti del mondo. L’importanza di una guerra partigiana è un’altra, è costruire per il futuro». È in sintonia il parere di Simone Neri Serneri, professore di storia contemporanea a Siena e presidente dell’Istituto storico della Resistenza in Toscana: «Fu un movimento relativamente elitario. Però, nei venti mesi di lotta, si passò da alcune decine a oltre centomila uomini nel ’44 e si raddoppiò nei giorni della liberazione. In più c’era tutto il contorno di chi aveva un ruolo nella Resistenza. Dal punto di vista militare, solo gli jugoslavi si liberarono da soli. L’obiettivo era un altro: sostenere lo sforzo degli Alleati e, negli ultimi giorni, anticiparlo. Le forze della Resistenza tennero impegnate la quasi totalità di quelle della Rsi e il retrofronte tedesco. Lo riconobbe lo stesso Kesserling».

GIORDANO Bruno Guerri, storico del ventennio fascista, presidente del Vittoriale, opera una netta distinzione fra la portata militare del movimento partigiano e quella morale: «La lotta partigiana favorì l’avanzata degli Alleati fino alla rottura del fronte. Come forza militare non accelerò la caduta del fascismo. Ebbe un grandissimo valore morale. Ognuno detesta di sentirsi sconfitto. Dire che l’Italia fu liberata dagli italiani ci fa passare automaticamente dalla parte dei vincitori, ma non ha nessuna concretezza dal punto di vista storiografico. Onoriamo il 25 Aprile, celebriamolo. Attenzione, però: un popolo che distorce il proprio passato ha buone possibilità di distorcere anche il presente e il futuro. Sono stato chiamato alla direzione del costituendo Museo di Salò, dove saranno raccoltele collezioni della città. Visto il luogo, l’attenzione sarà ovviamente molto concentrata sulla Repubblica Sociale. La mia idea era di fare l’inaugurazione il 25 aprile. Ssarebbe stato anche un omaggio alla Resistenza. Impossibile, mi è stato detto, sembrerebbe una provocazione, un oltraggio. Sono ancora i segni della gravità di quella che fu la guerra civile».